Vademecum per empatici

Che l’empatia sia una caratteristica più che apprezzabile non vi sono dubbi, soprattutto in un’era intrisa di individualismo dove non ci si ferma a prestare soccorso a chi ha bisogno, ma si cerca il cellulare per riprendere la scena. Tanto di cappello quindi a chi riesce ancora a sentire l’altro così intensamente da entrare dentro alle sue sensazioni e da vestirsi dei suoi sorrisi e delle sue lacrime.

Ma...

Ma con moderazione, sia per rispetto nei confronti dell’altra persona, sia per amor proprio.


Gioie o dolori?

Sicuramente siamo più abituati, per una cultura della sofferenza, ad empatizzare con chi soffre: le canzoni di amori impossibili sono quelle che hanno più successo, così come i film che narrano vicende drammatiche. E poi, diciamolo, con il dolore è più facile stare accanto all’altro: purtroppo condividere la felicità non è da tutti, subentrano invidie, gelosie e tanti altri sentimenti che non ci permettono di andare più in là di un “Te lo meriti, sono contenta/o per te!” per poi cambiare discorso e tornare ai soliti luoghi comuni. (Ovviamente stiamo parlando di rapporti superficiali e non di amicizie profonde!)

Diciamo che il dolore apre più strade: verso il pettegolezzo, verso la sindrome da crocerossina che aleggia su ognuna/o di noi e forse anche verso un sospiro di sollievo per non trovarci noi stesse/i in quella situazione. Ed ecco allora che ci si nutre dei dettagli più tristi e drammatici con gli occhi increduli e la bocca spalancata per poi iniziare a dispensare consigli o frasi fatte che nessuno ha richiesto, perché la verità è che il più delle volte, l’altra persona ha solo bisogno di essere accolta.

E sia chiaro, nessuno mette in dubbio che dall’altra parte ci siano affetto e buone intenzioni, ma credo che nel dubbio bisognerebbe abbondare di moderazione, vediamo insieme perché.


L’altra persona non sei tu.

Per quanto ci sembri di capire la sofferenza dell’altra persona, non ne sapremo mai abbastanza per poterci esprimere a riguardo con un giudizio o ancora peggio con un consiglio, anche se mosso da buona fede. Inoltre non conosciamo il percorso di vita di chi ci sta davanti e ignoriamo in quale tassello questo dolore si sia inserito: potrebbe avere dei richiami, essere un trigger di altri dolori e altri traumi di cui noi siamo totalmente all’oscuro. E capite che con un quadro del genere la scelta delle parole diventa qualcosa di fondamentale, così come lo diventa la modalità con la quale ci poniamo, poiché senza volerlo potremmo causare ancora più dolore o addirittura generare un desiderio di chiusura e di difesa nei nostri (e non solo!) confronti.


E tu poi come stai?

Al tempo stesso è importante imparare a difendere se stessi, sia perché chi è estremamente empatico di solito è anche molto sensibile e rischia di farsi carico di tristezze non sue come fossero le proprie, ma anche di attirare persone che hanno bisogno di svuotarsi dalle proprie insoddisfazioni. Per una questione energetica sarebbe opportuno schermarsi e trovare una propria valvola di sfogo per ripulirsi da tutto quello che ci viene passato. Per questa ragione tutte le persone che fanno un lavoro prevalentemente relazionale hanno il bisogno fisiologico di fare una terapia, di qualsiasi genere, purché funzionale ai proprio bisogni.


Concretamente cosa si può fare?

Ma allora come si fa a rimanere fedeli alla propria natura, peraltro meravigliosa e ammirevole, senza incappare in tutte queste problematiche? Sicuramente muovendosi in punta di piedi e con delicatezza, chiedendo all’altra persona come si sente e non portando il proprio vissuto, cercando di accogliere e sostenere senza esprimere giudizi né prendere posizione, offrendo un ascolto vero e sincero e magari anche un abbraccio silenzioso. Perché in fin dei conti, in un mondo in cui ciascuno vuole sempre dire la sua, in un mondo in cui non siamo abituati ad ascoltare se non in funzione della risposta che poi vogliamo dare, il valore di uno sguardo che comprende, di un silenzio denso di comprensione e amore, di un contatto respirato e duraturo è tutto quello di cui avremmo davvero bisogno per iniziare a sanare le nostre ferite più profonde.


Iresha Totaro